GIANNI DE TORA |
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1977 Galleria Il Salotto di Como 21Maggio-3 Giugno |
ARTICOLO DI MARIO RADICE SU ''LA PROVINCIA'' DI COMO DEL 9 GIUGNO 1977 |
Alla Galleria d'Arte ''Il Salotto''
“Geometria e Ricerche” di 7 giovani napoletani- le opere esposte sono caratteristiche dell'astrattismo di oggi- la mostra è interessante La stagione delle mostre d'arte è finita o sta per finire. Stagione triste? Non direi. La tristezza dura da tanti anni ma gli artisti di talento sono sempre stati rari, eccettuati momenti di particolare splendore o di particolare depressione. Fra i primi ricordo il secolo XV dei pittori italiani e fiamminghi ed il periodo barocco della musica tedesca ed italiana. Fra i secondi basta rileggere in qualche antologia i «capolavori» del cavalier Marino (in quel tempo Dante era ritenuto quasi spregevole, peggio, era dimenticato). E adesso? E' tempo di ricerche scientifiche; però è ancora vivo un grande pittore, De Chirico e sono morti da pochissimo tempo altri due grandi pittori: Picasso e Morandi. I giovani ricercano; Picasso invece diceva: io non cerco, trovo. Aveva ragione. Da che mondo è mondo le ricerche degli artisti sono sempre state fatte, ma non messe in mostra, anzi nascoste; non messe in vendite, anzi distrutte. Da chi sono stati distrutti i ''cartoni'' della Sistina se non dallo stesso autore? Alla galleria d'arte ''Il Salotto'', di piazza Roma 6 espongono 7 giovani pittori napoletani e la loro mostra è intitolata "Geometria e Ricerche''. La mostra è interessante ma il titolo è sbagliato. Quale artista, se tale è davvero, non fa ricerche dai primi anni della professione fino all'ultimo istante prima di morire? Anche la parola geometria è sbagliata o perlomeno superflua. Non si conosce elemento di madre natura minerale, vegetale, animale o umano che non abbia un centro ed uno sviluppo geometrico. I giovani espositori del ''Salotto'' sono Renato Barisani, nato a Napoli nel 1918; Carmine Di Ruggiero, nato a Napoli nel 1934; Guido Tatafiore, nato a Napoli nel 1919; Riccardo Trapani, nato a Napoli nel 1939; Gianni De Tora, nato a Caserta nel 1941; Riccardo A. Riccini, nato a Milano nel 1945, lavora a Napoli ed a Milano; Giuseppe Testa, nato a Biccari (Foggia) nel 1939, che lavora a Napoli. Le opere esposte sono caratteristiche dell'astrattismo di oggi: terse, esatte, di struttura armonica; la composizione di solito è semplice, forse eccessivamente semplice. Meglio così tuttavia che arruffata o senza un ''motivo plastico'' chiaro. Chiamo «motivo plastico» il tema della composizione che ovviamente ha un carattere particolare; ha inoltre un principio e una fine coerente al principio. Il canto dei colori non appare predominante in nessuna opera esposta. In queste opere predomina l'armonia della forma. Chiara ed interessantissima la presentazione, sul catalogo, di Enrico Crispolti. |
TESTO DI ENRICO CRISPOLTI PER CATALOGO DELLA MOSTRA |
Quando si avvierà finalmente una seria storia «sociale» dell'arte italiana contemporanea, e particolarmente degli ultimi decenni, non si potrà far a meno di riconoscere che allo sfruttamento economico del capitalismo settentrionale sul mezzogiorno, emarginato come mero terreno di conquista consumistica e come riserva di mano d'opera, corrisponde esattamente una emarginazione culturale, e per quanto riguarda le arti visive il totale disinteresse delle patrie storie e perfino cronache su accaduto come su accade nell'area meridionale di originalmente creativo e di autonomo, e comunque di risposta e di partecipazioni tipiche al dialogo culturale. Per quanto riguarda le arti figurative la ragione dell'emarginazione è soltanto indirettamente politica, mentre è direttamente economica, e di modelli culturali del potere. Economica, giacché è inammissibile per il mercato capitalistico dell'arte, come è stato nell'accelerazione consumistica il mercato artistico italiano settentrionale, che possano darsi nell'area meridionale valori riconosciuti. Se qualche riconoscimento poteva essere dato, ciò avveniva unicamente per chi avesse abbandonato il mezzogiorno e fosse emigrato, convalidando dunque la preminenza indiscutibile della situazione culturale settentrionale e del suoi modelli, rientrando cioè nei modelli che quel mercato sosteneva e affermava, e che intendeva esportare ed imporre anche nella « colonia» meridionale, al modo stesso di come la pressione consumistica operava, anche attraverso la politica dei “poli di sviluppo”. Sarebbe vano chiedere perché la critica nazionale d'avanguardia, anche la più intelligente, non abbia contrastato questa tendenza e questa operazione emarginanti. E' facile infatti rispondere che ben difficilmente si potrebbero reperire scelte e indicazioni di tale critica diverse da quelle dell'ideologia del mercato entro la quale quella critica stessa operava. D'altra parte le rare presenze critiche meridionali non hanno avuto nè la convinzione nè comunque la forza di dare indicazioni diverse. Esiste anzi una precisa responsabilità di certa critica d'arte d'avanguardia operante nel mezzogiorno d'Italia di aver contribuito ad avallare situazioni di riporto e di colonizzazione ideologica e mercantile, invece di stabilire dei segni di un fronte di resistenza e di riconoscimento di una possibile diversa identità e funzione pur nel comune dialogo problematico contemporaneo, dico entro la tradizione stessa dell'avanguardia. La condizione drammatica dell'operatore culturale ed artistico in particolare nel sud è stata ed è quella di dover combattere appunto per la conquista di uno spazio di possibilità di autoidentificazione e di autonomia. Alcuni hanno preferito una soluzione di abbandono di quella situazione, e sono risaliti al nord o fuori d'Italia, altri - i più naturalmente (e fortunatamente) - hanno resistito sul posto, tentando di fondare il senso diverso di un lavoro pur strettamente dialogante con i portati di un'avanguardia internazionale. La linea di lavoro che questa mostra documenta va letta anch'essa in questa condizione di fondo, e va letta quindi nello sforzo di fondare una specificità di ricerca nell'ordine di analisi di strutture astratte, nel senso - implicito almeno - di una risposta culturale connessa a tale condizione e alla problematica specifica, direi, persino in qualità antropologica, di un territorio culturale e geografico. Che questa linea del resto abbia poi tutti i titoli per una sua presenza, e sufficientemente autonoma e certo sufficientemente precoce, sono qui, direi in apertura di mostra, a ricordarlo le presenze di Barisani e di Tatafiore, esponenti di quel ''Gruppo Arte Concreta" napoletano, aderente al M.A.C., e attivo con particolare vivacità di proposizioni (che andrebbero più attentamente ricostruite entro la storia dell'arte astratta italiana nel secondo dopoguerra) nella prima metà degli anni Cinquanta. In una recente monografia, ricostruendo tutta la lunga vicenda di Barisani in trenta anni d'attività creativa tenace e fortemente qualificata, ho cercato di avviare un discorso proprio sulla specificità di quelle prove, che contrapponevano (ma al discorso vale anche oltre le prove di Barisani) ad un astrattismo geometrico di impronta o idealistica o fantastica o comunque di corrispondenza ad una strutturalità tecnologica, come avveniva nella situazione settentrionale, le intenzioni di un lavoro più umile e problematico, di un costruire quasi fabrile, riportando cioè appunto l'attenzione su un denominatore lavoro, direi quasi operaio, in una prospettiva dunque d'ipotesi aperta e fuori d'ogni trionfalismo formalistico o ideologico. Quel lavoro di Barisani è ormai assai lontano, venticinque anni fa, ma le premesse sono ancora valide e operative nelle esperienze che nell'ultimo decennio va conducendo nell'esplorazione di una possibilità fenomenologica della forma pura, e che a quella lontana stagione si riconnettono costituendo ormai un nesso storico fondamentale nella vicenda dell'astrattismo meridionale. Tatafiore opera invece in termini diversi dalla tradizione “concretista” della prima metà degli anni Cinquanta, nel senso di aver acquisito altri elementi nella costituzione d'immagine, come la presenza verbale plasticamente risolta, e in modo molto rigoroso, e tuttavia ironicamente valida anche proprio come parola affermata in consistenza plastica, pittorico-plastica, in questi suoi rilievi tondi, fra la pittura oggettuale e la scultura. Da origini in esperienze informali nello scorcio degli anni Cinquanta e nella prima metà dei Sessanta, Di Ruggiero è venuto elaborando negli anni una ricerca di strutturalità astratta molto personale, fino a quel recente modo di iterazione di elementi formali analoghi, ma in una varietà cromatica chiaramente credo allusiva in senso analogico a una vivacità ottica di spettacolo meridionale. La presenza di Di Ruggiero nella linea di ricerca qui prospettata (e si intenda bene prospettata nella sua attualità, anche se quella linea ha appunto una fondazione storica precisa) è un anello fra la generazione che dialogò con il M.A.C., e quella di un nuovo costruttivismo e 'comunque di una nuova pittura di strutturalità astratta a Napoli negli anni Settanta. Qui le diramazioni sono diverse, e hanno una consistenza indubbiamente notevole, sulla quale l'attenzione critica va ancora sollecitata in modo più adeguato. Rappresentano cioè un polo preciso nell'orizzonte assai vivace e articolato della situazione artistica napoletana attuale. De Tora porta avanti un discorso di dinamismo strutturale, attento alla fenomenologia della forma nel divenire delle sue possibili trasformazioni, anche in questo caso in fondo deponendo a favore di una relatività piuttosto che di un'assolutezza della forma stessa. Testa e Trapani, con Palamara (qui non presente) hanno fondato un gruppo di “nuovo costruttivisrno” a Napoli nel 1970. Testa da allora elabora un discorso figurale fortemente strutturale di valenza quasi architettonica, attraverso un gioco di proiezione molto rigorose che speculano su una duplice natura di congiunzione spaziale, cioè fra spazialità reale, oggettualmente emergente, e spazialità virtuale figurata. Mentre Trapani pure da allora svolge ricerche di ipotesi di nuove modalità strutturali, in una varietà di configurazioni che mi sembrano rispondere a suggestioni d'ordine psicologico piuttosto pronunciate. Riccini lavora in modo diverso, attento ai valori della superficie pittorica sia in senso materico sia in senso cromatico, sia direi in senso spaziale (“ tendo ora a dipingere le relazioni tra materiali e procedimenti “, conferma) proponendo valori lirici, verso una pittura testimone come termine ultimo, personalmente sofferto in una ricerca indubbiamente singolare nell'orizzonte di nuova pittura. La linea di cui parlavo è dunque precisa, ma appunto articolata, e si propone in una consistenza problematica che credo offra sufficienti giustificazioni di una propria specificità culturale, nel senso di essere attenta appunto ad una corrispondenza di fondo - problematica, beninteso, e non data una volta per tutte - ad un patrimonio culturale e antropologico specifico. Il credito che queste proposte si meritano non è soltanto nella qualità e puntualità formale che esibiscono, ma anche, e dal mio punto di vista starei per dire soprattutto, nella correttezza della prospettiva culturale che consapevolmente suggeriscono e seriamente praticano. |
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